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Un’infermiera salentina a Londra, il racconto dell’emergenza

Londra è ricca di menti e braccia salentine, e numerosissimo è il popolo di infermieri e medici emigrati negli ultimi anni. Abbiamo chiesto ad una giovane infermiera, che lavora in una struttura londinese privata, come sta vivendo la situazione di emergenza sanitaria.

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Da quanto tempo vivi e lavori a Londra?

Vivo a Londa da circa 6 anni, di cui tre fuori città e tre a Londra.

Che tipo di realtà è la struttura dove lavori e quanti pazienti ospita?

In pratica si tratta di una realtà privata senza un reparto di emergenza/urgenza, quindi una realtà in cui i pazienti vengono sottoposti a operazioni chirurgiche di diverso tipo. Ci sono una sessantina di pazienti, ma in realtà non si contano perché molti hanno tempi di permanenza diversi, alcuni restano un solo giorno, quindi il numero è variabile.

Quali misure sono state adottate nella tua struttura, per far fronte all'emergenza?

Questa è una bella domanda. La politica che hanno adottato naturalmente non la conosco, non conosco le discussioni interne o se è cambiato qualcosa in base alle disposizioni di Boris Johnson. 

Hanno cambiato completamente idea sul da farsi nel giro di pochi giorni. In pratica, all'inizio si sono concentrati più sul rassicurarci sugli effetti del virus, ci dicevano che non era pericoloso, che colpiva solo le persone di età più adulta o con patologie pregresse e comorbidità. Poi, in un secondo momento, hanno continuato ad escludere la possibilità di utilizzo dei dispositivi di protezione. Infine, hanno deciso di donare i venilatori della clinica agli ospedali della sanità pubblica, permettendo di curare i pazienti affetti da Covid-19. 

Le mascherine e gli altri dispositivi di protezione vi sono stati forniti?

I dispositivi di protezione, inizialmente, erano disponibili solo per la misura che i responsabili della struttura ritenevano adatta, in pratica quasi per nessuno, quindi ce n'erano davvero pochi a disposizione.

Ci sono stati casi di positività al Covid-19?

Sì, abbiamo avuto persone positive tra lo staff, medici primari, infermieri e pazienti.

Con quali criteri vengono effettuati i tamponi per Covid-19?

I criteri per fare i test continuano a cambiare, perché stanno predisponendo nuove linee guida. Sino a qualche giorno fa, alcuni medici, si rifiutavano persino di fare il giro visite.

Qual è la tua preoccupazione più grande?

La mia preoccupazione più grande è quella di trasmettere il virus ai pazienti, perché sino a qualche giorno fa in clinica si continuavano ad effettuare operazioni elettive. I pazienti in buona salute che accedevano in struttura per operazioni di routine, rischiavano di essere infettati da infermieri o medici asintomatici e inconsapevoli di avere il Covid-19. Non sono tanto preoccupata per me, anche se sono consapevole dei rischi che il virus pone anche in soggetti giovani, ma la mia paura è di contagiare i pazienti.

Quale pensi sia la principale differenza con l'Italia?

La principale differenza è la politica adottata per l'emergenza, perché in Italia hanno cominciato sin da subito ad effettuare test a tappeto nella sanità cercando, per quanto possibile, di contenere la contaminazione. Qui a Londra, invece, sono passati dalla politica assurda dell'immunità di massa, ad oggi che si tenta di fare il possibile per cercare di contenere l'epidemia.

In questi momenti difficili, hai mai avuto il desiderio di tornare a casa, nel Salento?

Per quanto desideri tornare a casa, visto che non torno da agosto dello scorso anno, ho scelto di restare a Londra. 

Rappresento una delle catogorie maggiormente esposte quindi, inconsapevolmente, rischierei di contagiare gli altri. In ogni caso, in Inghilterra faccio parte di coloro che definiscono 'key worker', dunque continuerò a lavorare, non avrei nessun motivo per tornare a casa.

 

Servizio a cura di Davide Ruberto

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